Ucraina, i media dopo Maidan
Nell’Ucraina post Maidan crescono le ambizioni di studenti di giornalismo e di giornalisti per un’informazione sempre più indipendente. Un reportage da Kiev
L’università Mohyla, storico ateneo di Kiev, ha sede nel vecchio quartiere di Podil, stretto tra la Piazza dei Contratti, quella della Posta e la riva occidentale del fiume Dnipro, che taglia la capitale e il paese. L’università Mohyla, dal 2002, ha una sua scuola di giornalismo. Yehven Fedchenko ne ha assunto la direzione dal 2005. In tutti questi anni, spiega, la filosofia di fondo di questa palestra per aspiranti cronisti non è variata. “Ieri come oggi l’obiettivo è quello di fare formazione in modo da intercettare le esigenze dell’industria dei giornali, rimanendo però fedeli alla necessità di trasmettere ai ragazzi il senso del giornalismo, con approccio fondato innanzitutto sulla pratica”.
Da mezzibusti a cronisti d’inchiesta
Se questo aspetto non è mutato, sono cambiate invece le ambizioni degli studenti, spiega Fedchenko ricevendoci nel suo studio, mentre nell’aula accanto i suoi studenti – a proposito di pratica – stanno esercitandosi davanti a una videocamera. Dieci anni fa, spiega il direttore, la maggior parte degli studenti desiderava fare giornalismo televisivo nelle grandi emittenti del paese, prevalentemente controllate dagli oligarchi. Adesso costatiamo un crescente interesse verso i media indipendenti. Diversi ragazzi vorrebbero fare giornalismo investigativo in strutture piccole, alternative. Qualcuno pensa anche di creare una sua startup giornalistica.
Questa variazione si intreccia in parte con la rivolta del Maidan, iniziata nel novembre del 2013, terminata con la fuga dell’ex presidente Viktor Yanukovich e seguita dalla crisi separatista in Crimea e da quella militare nel Donbass. “Con il Maidan è aumentata la pluralità in termini di opinioni, narrazione dei fatti e numero di fonti. La differenza la fa la rete. Gradualmente stiamo uscendo dalla fase di predominanza televisiva, a suo modo prolungamento del potere oligarchico”, sostiene il direttore della scuola di giornalismo dell’università Mohyla, ritenuta vicina agli ideali della “rivoluzione della dignità”.
Informazione e rivoluzione
Yehven Fedchenko figura tra i co-fondatori di stopfake.org, che si propone di contrastare la versione della crisi e il racconto dell’Ucraina da parte russa a colpi di fact-checking. “Stopfake.org è partito come progetto volontario. Non pensavamo sarebbe durato a lungo, né che ci saremmo allargati”. Il sito pubblica in più lingue. C’è anche la sezione italiana. In alcuni casi riprende temi della casa madre, in altri ne sviluppa di propri o rilancia articoli pubblicati su fonti non primarie da autori che sostengono la causa ucraina. Il curatore della sezione ritiene, forse tagliando un po’ con l’accetta le cose, che l’80% dei media italiani sia pro-russo e che “tutti i partiti dell’opposizione all’attuale governo Renzi abbiano interesse a sostenere Putin in un’ottica anti-europea”.
Stopfake.org è solo uno dei media nati sullo slancio del Maidan. Un altro è Euromaidan PR, l’evoluzione giornalistica di uno degli account social più seguiti nei giorni del terremoto di piazza. Si ha come l’impressione, a leggerne i contenuti, che sia in corso un processo volto a dismettere i toni un po’ apocalittici e rabbiosi della prima ora, indossando una veste più lucida. In questo come in altri casi, c’è molta attenzione sulle riforme. Cani da guardia: è questo il ruolo che all’interno di questo processo delicato e zigzagante si stanno ritagliando i “media del Maidan”. Il più noto è senza dubbio hromadske.tv, considerato una delle voci della rivoluzione. È finanziato da governi e fondazioni occidentali, come da piccole donazioni private. Il linguaggio adottato è moderno, il lavoro è propriamente giornalistico e il legame con la piazza appare meno ombelicale.
Le novità non si annidano nella sola Kiev, a ogni modo. “Emergono nuove iniziative legate all’informazione anche nelle altre città. Una è nakipelo.tv, a Kharkiv. Qualcosa si muove anche a Leopoli”, dice Oleksandr Yaroschuk, uno degli studenti della scuola di giornalismo dell’università Mohyla. Vorrebbe interpretare la professione in funzione del racconto della società civile, che troppo spesso – dice – non trova adeguato spazio. E la sua passione per il mestiere nasce prima del Maidan. “In questo senso non mi ha influenzato. L’ambizione di fare giornalismo la coltivavo già da prima”.
Il Maidan, invece, ha impresso un nuovo verso alla carriera di Anastasiya Ringis. Prima era una giornalista economica e scriveva soprattutto di startup. Poi è arrivata la rivoluzione. È scesa in piazza. Oggi lavora come cronista politica a Ukrainska Pravda, testata online fondata nel 2000, attenta alle manovre dei poteri forti. “Noi giornalisti possiamo creare influenza e contribuire a cambiare il sistema, dominato dagli oligarchi”, ragiona Anastasiya Ringis, incontrata al Kyiv Media Hub, spazio in comune tra Ukrainska Pravda, Hromadske.tv e Centre for United Actions, un’organizzazione attiva su temi quali l’accesso agli atti pubblici.
La battaglia per pulizia morale, trasparenza amministrativa e riduzione dell’egemonia oligarchica è un terreno comune dei media che hanno tratto o dato influenza dal Maidan e al Maidan. Può dunque suonare strano che Serhiy Leshchenko e Mustafa Nayem, il primo ex vice direttore di Ukrainska Pravda, il secondo ex firma, nonché iniziatore di Hromadske.tv, siedano in Parlamento tra i banchi del Blocco Poroschenko, il partito del presidente. Anch’egli oligarca, per giunta inciampato nell’affare dei Panama Papers. “Si sono fatti eleggere per cambiare il sistema da dentro. Credo che non abbiamo molte alternative a questo”, riflette Anastasiya Ringis.
La lezione di Gongadze
Il Maidan non può essere considerata una genesi del nuovo giornalismo ucraino. Se mai è stato un acceleratore. Il giornalismo alternativo, controcorrente e impegnato è preesistente alla rivoluzione. Del resto Oleksandr Yaroschuk vuole praticarlo indipendentemente dal Maidan e la storia di Ukrainska Pravda, ormai lunga, è la prova di questo esistere da prima.
Nelle scorse settimane si è tornati a parlare del fondatore della testata, Georgiy Gongadze, giornalista scomodo e inviso ai potenti. Fu rapito nel settembre del 2000. Il suo corpo, decapitato, fu rinvenuto in una foresta a qualche chilometro da Kiev. A sedici anni da questo omicidio terribile, sul quale incombono ancora molti interrogativi giudiziari e per il quale è stato tirato in ballo l’ex presidente Leonid Kuchma, si è tenuto finalmente il funerale. Tra i motivi di tanto ritardo c’è stato il rifiuto della madre di Gongadze, morta nel 2013, di riconoscerne il corpo privo del capo.
“Gongadze è un simbolo della libertà di informazione”, afferma Anastasiya Ringis. Le fa eco Yevhen Fedchenko: “La sua morte ha cambiato il giornalismo. Prima era un lavoro sicuro, di prestigio. Ma il sacrificio di Gongadze ha fatto capire all’intera comunità giornalistica che chi vuole essere un vero giornalista può pagare un prezzo”.
Published 22 April 2016
Original in Italian
First published by Osservatorio Balcani e Caucaso, 20 April 2016
Contributed by Osservatorio Balcani e Caucaso © Matteo Tacconi / Osservatorio Balcani e Caucaso / Eurozine
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