I partiti tedeschi e la crisi dell'euro
Anche in Germania, a sinistra, e in particolar modo proprio nel partito della Linke, regna una terribile confusione sulla questione dell’euro. E chi altri sarebbe potuto intervenire se non Oskar Lafontaine? Solo pochi giorni dopo avere annunciato il proprio ritiro definitivo dalla politica, l’homo politicus chiariva il suo pensiero su questo punto specifico. Senza mezzi termini, in un’intervista alla “Saarbrücker Zeitung”, Lafontaine dichiarava infatti di ritenere fallito l’esperimento delle moneta unica europea e di appoggiare un possibile ritorno a un sistema di valute nazionali (“Saarbrücker Zeitung”, 30.4.2013).
Come era facilmente prevedibile, una simile presa di posizione ha immediatamente provocato reazioni indignate: la “Frankfurter Rundschau” ha criticato il “comportamento infantile” di Lafontaine (M. Decker, Infantiles Verhalten, “Frankfurter Rundschau”, 2.5.2013), mentre “Die Zeit” ha visto “Lafontaine andare con la destra verso la deriva dell’euro”: a quanto pare, “da sempre imbonitore molto dotato”, egli pesca ancora una volta “nell’elemento naturale della destra” (L. Greven, Lafontaine auf rechten Euro-Abwegen, www.zeit.de, 30.4.2013). Ma anche tra le file della stessa Linke qualcuno, evidentemente, ha ritenuto che fosse giunto il momento della resa dei conti. Benjamin-Immanuel Hoff, portavoce federale del Forum del socialismo democratico (Fds), di orientamento riformista, ha ipotizzato che Lafontaine si ponesse “sull’onda del populismo di destra”, come un nuovo “AfD di sinistra” [AfD è l’acronimo per Alternative für Deutschland, la nuova formazione politica di destra dichiaratamente contraria all’euro nata nel febbraio di quest’anno, N.d.T.]. E il suo predecessore Stefan Liebich ha puntualizzato, adottando uno stile da vecchio West: “Chi da noi vuole la fine dell’euro, sella il cavallo sbagliato e cavalca da solo verso l’orizzonte. La sinistra è europea e solidale” (B.-I. Hoff, Auf der Welle des rechten Populismus, www.forum-ds.de, 5.5.2013).
Si potrebbe, e si vorrebbe, dire che si è trattato soprattutto di polemiche strillate ai quattro venti. Ma non ci si può limitare a questo, perché invece proprio qui comincia il problema. Infatti, oggi sembra necessario un chiarimento su che cosa debba intendersi per veramente europeo, a fronte di una divisione crescente che si sta registrando all’interno dell’Eurozona. Rivolgendosi ai critici dell’euro accusandoli di populismo non si va molto lontano, e chi riduce la soluzione ventilata da Lafontaine unicamente allo schema sinistra-destra dimostra di avere una veduta davvero troppo corta.
Più semplicemente, la questione risiede invece nel caso dell’AfD e del suo orientamento di fondo. Già un’occhiata al programma del partito mostra che la nuova formazione è, in larga misura, proprio quel partito a destra dell’Unione che già Franz Josef Strauss aveva sempre paventato. Con ricette banali e semplificatorie l’AfD raccoglie soprattutto quei delusi che un’Unione “rammollita” sotto la guida di Angela Merkel ha lasciato posizionarsi a destra, come ad esempio i seguaci delle risoluzioni neoliberali adottate nel congresso del partito a Lipsia nel 2003. Proprio in questo senso, il programma dell’AfD sostiene “una drastica semplificazione della normativa tributaria sulla scorta del modello fiscale progressivo di Kirchhof”. Su questa base dovrebbe infine applicarsi a tutti i redditi, ai profitti del lavoro come a quelli del capitale, una aliquota unica pari al 25% (cfr. 25 Prozent Steuern für alle. Das ist die Obergrenze, intervista apparsa sulla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, 22.8.2005).
Quanto alla politica per la famiglia si afferma, sul filone della più prevedibile tradizione cristianodemocratica: “Noi siamo per la difesa della famiglia come cellula originaria della società”. Con ciò, l’AfD presenta un’offerta politica rivolta a tutti coloro per i quali la piena equiparazione della relazione omosessuale con il matrimonio tradizionale tra uomo e donna costituisce un passo inaffrontabile. E, per finire, viene reclamata una “riforma della normativa sull’immigrazione”, ispirata in primo luogo a criteri economici: “La Germania ha bisogno di un’immigrazione qualificata e disposta a integrarsi. […] Un’immigrazione disordinata nei nostri sistemi sociali dev’essere assolutamente impedita”. In breve: l’AfD è in prima istanza un bacino di raccolta per conservatori e neoliberali delusi – tuttavia con posizioni che ai tempi di Strauss avrebbero comunque trovato il loro posto nell’Unione.
Di tutt’altro tenore sono le posizioni che il neonato partito (questa formazione è nata alla fine dell’inverno scorso in vista delle elezioni politiche tedesche di settembre) ha espresso a proposito del dilemma europeo. In questo campo l’euro-critica dell’AfD – al pari di quella espressa da Oskar Lafontaine e di molti altri (sul tema si vedano, ad esempio, i contributi di Wolfgang Streeck e Thilo Bode apparsi su “Blätter für deutsche und internationale Politik”, n. 4/2013) – non si può liquidare sbrigativamente come nazionalpopulista e neoliberale. Non è stato infatti Bernd Lucke, il presidente dell’AfD, bensì Heribert Prantl, l’esponente liberale di sinistra, a scrivere sulla “Süddeutsche Zeitung” che “l’Unione europea non può sottrarre alle persone la loro patria e la sicurezza nazionale; questa è una politica anti-europea. […] L’Unione europea deve dare loro [alle persone] una nuova, seconda patria – l’Europa. Questa sarebbe una politica europea. Poiché per una simile politica non esiste, ci sono così tanti partiti anti-europei in Europa; ora anche in Germania” (H. Prantl, Misstrauen gegen Europa ist keine Alternative für Deutschland, “Süddeutsche Zeitung”, 27.4.2013).
Qui sta appunto il problema. È ormai evidente che la politica merkeliana fatta di austerità è fallita, come testimonia la situazione sempre più drammatica in cui si trova l’Europa meridionale. La cancelliera non ha nulla da offrire all’Europa tranne una ristretta politica di risparmio costruita su scala nazionale, che inoltre suscita la fatale impressione secondo cui ancora una volta il mondo, o meglio l’Europa, dovrebbe guarire seguendo il modello tedesco. Però è anche altrettanto evidente che la sinistra dello spettro partitico è finora rimasta debitrice di un’autentica alternativa agli errori della Merkel.
“It’s the economy, stupid!”.
In questo caso il problema centrale è economico: come può avere successo la politica economica in Eurolandia, se ai singoli Stati viene sottratta l’opportunità di una politica economica propria tramite la svalutazione della moneta? Per risolvere questo problema non basta affatto postulare, come fa Bernd Riexinger per distinguersi dall’AfD, “l’AfD dice no all’euro e sì all’austerità, noi diciamo no all’austerità e sì all’euro. L’AfD è di destra, noi di sinistra”. Ciò che occorre è un’adeguata risposta di sinistra alla crisi. Ma il modo in cui tale risposta dovrebbe configurarsi concretamente – al di là di un deficit spending di corto respiro – rimane finora in gran parte oscuro.
Tuttavia c’è largo accordo su un punto: che, alle condizioni date – di un contesto economico totalmente disomogeneo, con una carente politica economica comune –, l’euro è stato e rimane una costruzione difettosa. A questo riguardo un tono di rassegnazione pervade specialmente gli interventi di Lafontaine (il che in un certo modo ricorda la sua nefasta uscita dall’Spd). In origine Lafontaine aveva salutato l’euro come “presupposto per la crescita e l’occupazione” – supponendo che sarebbe stato possibile coordinare la politica economica e retributiva degli Stati membri. Invece, la sua posizione attuale è: “Una rivalutazione reale con retribuzioni in aumento, come sarebbe necessaria nel caso della Germania, non si può fare con le associazioni imprenditoriali tedesche e con il blocco partitico neoliberale che le segue, attualmente composto da Cdu/Csu, Spd, Fdp e Verdi” (O. Lafontaine, Wir brauchen wieder ein europäisches Währungssystem, www.oskar-lafontaine.de, 30.4.2013). In queste parole effettivamente si sente un tono di capitolazione.
Meno rassegnato di Lafontaine si presenta il suo ex vice ministro Heiner Flassbeck, quando si batte per sfruttare l’ultima opportunità di salvare l’euro (H. Flassbeck, Letzte Chance zur Euro-Rettung nutzen, “Neues Deutschland”, 16.5.2013). Tuttavia condivide la scettica analisi di fondo di Lafontaine: “Se il più grande Paese dell’Eurozona contravviene alla regola fondamentale, fissata di comune accordo, per la convergenza dell’inflazione e in questo modo mette economicamente gli altri Paesi al muro, anche l’economia nazionale più efficiente non
può cavarsela senza gravi danni” (Id., Keine Rosen aus Athen, www. nachdenkseiten.de, 4.12.2012). Qui risiede in effetti l’errore economico fondamentale della politica merkeliana di austerità. Se la Germania continua a mantenere elevata la sua competitività – nonostante gli immensi vantaggi di produttività – a spese dei suoi vicini, questi ultimi non avranno le necessarie opportunità di sviluppo, giacché i surplus di bilancio da un lato richiedono deficit dall’altro. Senza correzioni su entrambi i fronti – tramite costi salariali unitari sensibilmente più alti al nord, specialmente in Germania (e contemporaneamente con una domanda interna più elevata), e retribuzioni massicciamente ridotte al sud – i paesi meridionali non diventeranno competitivi.
Ma ciò significa in primo luogo che la Repubblica federale dovrà rinunciare a una parte dei suoi surplus delle esportazioni. E in secondo luogo questo significa, nel Sud dell’Europa, un robusto adeguamento interno all’euro tramite tagli alle retribuzioni. La drammaticità della seconda premessa si constata attualmente in Grecia. Perciò anche economisti greci di sinistra come Costas Lapavitsas appoggiano intanto un ritiro del loro Paese dall’Eurozona. Solo con una valuta propria l’economia nazionale potrebbe ritornare in salute, con i prodotti nazionali nuovamente vendibili.
Costas Lapavitsas e Heiner Flassbeck si pronunciano quindi a favore di una riflessione sulle “alternative all’euro” (H. Flassbeck e C. Lapavitsas, The Systemic Crisis of the Euro. True Causes and Effective Therapies, www.rosalux. de, 16.5.2013). Se il salvataggio dell’Eurozona non riesce, e oggi tutto porta a ritenere plausibile questa eventualità, dev’essere possibile poter prevedere e considerare tollerabile una via d’uscita dalla moneta unica. Ma ciò è possibile solo sulla base di due presupposti. In primo luogo se si prevedono controlli ravvicinati sui movimenti di capitale, per impedire una fuga di capitali e una corsa alle banche (come nel precedente di Cipro). E, in secondo luogo, se si realizza una rivitalizzazione del vecchio sistema monetario europeo (Sme), che mantenga i corsi dei cambi entro margini di oscillazione specificamente prefissati (cfr. Flassbeck, Letzte Chance zur Euro-Rettung nutzen, cit.). In questo modo si dovrebbe impedire che una valuta, nuova o ripristinata che sia, precipiti senza limite. Abbandonarla al libero gioco dei mercati valutari renderebbe la conversione valutaria estremamente dolorosa per gli interessati.
Se non si imbocca questa exit strategy, ad esempio con il ritorno della Grecia alla sovranità monetaria nazionale, rimane un’unica alternativa possibile: la
realizzazione di una unione fiscale, economica e sociale comune, quell’unione lacunosa fin dalle origini, senza la quale la comunità dell’euro non potrà salvarsi. Ma ciò richiede un immenso sforzo politico, che evidentemente va ben oltre la solidarietà europea del momento.
Attualmente si constata quanto la solidarietà in Europa continui a fermarsi ai confini nazionali, e certamente non solo in Germania. È per questa ragione che Jürgen Habermas sostiene che la crisi rappresenta un’opportunità e l’AfD un sorta di catalizzatore che va sfruttato al meglio per sfilare agli altri partiti “la loro invisibilità sulla politica europea” ( J. Habermas, Demokratie oder Kapitalismus, “Blätter für deutsche und internationale Politik”, n. 5/2013, p. 70). In effetti si discute davvero poco di Europa, specialmente sul fronte Spd. Un partito, il candidato di punta Peer Steinbrück si era assunto in passato l’impegno di spiegare ai tedeschi – diversamente dalla cancelliera – l’euro e la sua necessità. Ora una sua prevedibile sconfitta alle elezioni per il Bundestag potrebbe derivare, oltre che dai diversi errori commessi, non ultimo dalla mancanza dell’offerta di un’alternativa credibile in materia di politica europea. Infatti, ad assicurare in primo luogo alla cancelliera l’enorme consenso di cui gode, è la sua gestione della crisi dell’euro sulla base di un’impostazione nazionale.
Fin dall’inizio l’errore – specialmente da parte dell’Spd – è consistito nell’agire sulla questione dell’euro esclusivamente sul fronte interno, mentre dovrebbe
ormai risultare chiaro che la crisi può essere risolta solo adottando una lettura transnazionale. Senza
una risposta comune contro la povertà e la disoccupazione, le popolazioni verranno nuovamente messe l’una contro l’altra e si verificherà “la “contraffazione” dei problemi sociali in questioni nazionali” (Habermas, Demokratie oder Kapitalismus, cit.).
Quel che occorre oggi è dunque un’azione comune dei partiti europei di sinistra. Peter Bofinger (“Der Spiegel”, 14.4.2013) mostra come dovrebbe presentarsi la risposta politica offerta della sinistra europea. In tal senso, Bofinger sostiene a ragione che anche i cittadini ricchi degli Stati in crisi – in quanto vincitori degli anni di prosperità economica e in nome della responsabilità verso il proprio paese – dovrebbero essere ancora più coinvolti nel salvataggio dell’euro. Nella misura in cui essi saranno disponibili a rinunciare a una parte delle proprie
sostanze, crescerà anche nei paesi del nord la disponibilità delle persone a garantire con i beni del rispettivo stato di appartenenza i debiti del sud.
Su questo tema, alla buon’ora, nel frattempo l’Spd ha riconosciuto di non poter più svolgere la funzione di semplice appendice di Angela Merkel. Anche per questa ragione ha fondato una nuova “alleanza per il progresso”, giusto il giorno prima di festeggiare il proprio centocinquantesimo anniversario, il 22 maggio 2013. Un’alleanza che dovrebbe sostituire l’Internazionale socialista, punita negli ultimi anni dall’Spd con la disattenzione e che i partiti socialdemocratici dovrebbero coordinare e rendere in grado di agire specialmente a livello europeo: potrebbe essere un primo passo verso l’indispensabile maturazione di una opinione pubblica europea. Un’ulteriore opportunità per superare finalmente i confini nazionali del dibattito politico si profila nel giro di appena un anno, quando si terranno le prossime elezioni del Parlamento europeo. In un momento in cui per l’Spd non sembra ormai possibile invertire la rotta in vista delle elezioni per il Bundestag, il partito dovrebbe concentrarsi ancora di più in prospettiva sulle elezioni europee. Ma solo se le europee si svolgeranno non tanto seguendo i confini nazionali quanto invece sulla scorta dei problemi interni al continente, si potrà parlare di un’opinione pubblica comune in Europa.
Che sia per le elezioni nazionali, a cominciare da quelle tedesche, o per quelle europee, in ogni caso l’euro e il futuro dell’Europa devono diventare il tema centrale dei prossimi mesi. Qualsiasi orientamento si voglia rappresentare, una considerazione dovrebbe sempre tenere uniti i poli
opposti del dibattito: la consapevolezza che il più grande risultato politico degli ultimi settant’anni o quasi è stata la duplice pace in Europa – verso l’esterno, in termini di assenza di guerre, e all’interno, nella forma della compensazione sociale e della fine dell’inimicizia come dei suoi stereotipi.
In questo senso l’Europa rimane la comunità del nostro destino, con o senza l’euro.
Published 23 September 2013
Original in German
Translated by
Alessia Varta
First published by Blätter für deutsche und internationale Politik 6/2013 (German version); Il Mulino (Italian version)
Contributed by Il Mulino © Albrecht von Lucke / Il Mulino / Eurozine
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