Chernobyl, un oggetto culturale

Il prossimo film del regista ucraino Myroslav Slaboshpytskyi

Myroslav Slaboshpytskyi è probabilmente la star dei registi ucraini. Al festival di Cannes del 2014, il suo The Tribe ha vinto tre premi “Critics’ Week” e una nomination per il “Caméra d’Or”. La rivista Rolling Stone l’ha definito il film più intenso del 2015. Il prossimo progetto di Slaboshpytskyi è Luxembourg, un film sulla vita a Chernobyl oggi. I diritti per il film sono già stati acquisiti in diversi Paesi europei. Myroslav ha raccontato a Ukrainska Pravda dei suoi progetti per il futuro, dei suoi inizi, dei problemi della scena culturale ucraina e di Chernobyl

Markian Kamysh: Ho visto i tuoi film The Diagnosis, Deafness, Nuclear Waste e The Tribe, e mi sembra di capire perché ti hanno soprannominato il “Titanic” del cinema ucraino. A quale di questi film sei più affezionato, e a quale pensi con più nostalgia?

Myroslav Slaboshpytskyi: Sono tutti corti, e ovviamente il più importante è The Tribe. È stato quello che mi ha cambiato di più la vita, anche se in un certo senso è stato una derivazione di Deafness.

Naturalmente, girare corti è un’attività unica nel suo genere. Non hai bisogno di finanziamenti statali o grandi opportunità per girare un corto. In teoria, basta avere una telecamera e degli amici, anche se The Diagnosis aveva un budget di 35.000 dollari. L’abbiamo girato con una Kodak, in pellicola. Era il 2008, avevo avuto i soldi da mio padre e dall’azienda farmaceutica Darnytsia. Tutti gli americani, a differenza degli europei, ci passano: a investire nel tuo primo film sono la famiglia e gli amici.

MK: Per quanto riguarda Deafness, in un certo senso ha posto le basi per The Tribe, che è stato girato nella stessa regione. Quindi Deafness è stato un tentativo di elaborare il concetto di The Tribe

MS: Anche Nuclear Waste avrà una certa influenza su Luxembourg. L’abbiamo proiettato come “pilota” per Luxembourg, perché ovviamente è il momento di parlare apertamente di questo tema. Però penso di essermi messo Deafness alle spalle.

Ukrainian film director Myroslav Slaboshpytskyi at the 6th Odessa International Film Festival. Photo: Andriy Makukha (Amakuha). Source:Wikimedia

MK: I critici hanno definito The Tribe “un film sull’amore”. Come definiresti invece Luxembourg? A parte il fatto che è un film sulla Zona oggi, e sulle persone che lavorano in questo “paese dentro un paese”, non se ne sa quasi nulla. Ci sono dei dettagli che ti senti di condividere?

MS: Ho imparato a presentare The Tribe durante la mia prima ventina di interviste. Quando stai girando, non stai a pensare di che cosa parla il film. È un processo irrazionale. Tu immagini la storia, lo stile, e queste sono le due cose più importanti. La storia deve confluire nello stile e viceversa, fino a funzionare come una cosa sola.

Invece, mettersi a pensare “farò un film su questo o quello” mi sembra un po’ problematico, perché di film ne sono stati fatti tanti… Il cinema esiste da 120 anni. Un regista può enfatizzare un’idea, ma così facendo perde la connessione emotiva con il pubblico, che capisce immediatamente quando viene “istruito” anziché coinvolto a livello emozionale. E la cosa più importante nel cinema è proprio il coinvolgimento emotivo.

Immaginare qualcosa di nuovo è estremamente complicato, e quando guardo dei film le storie mi interessano meno. Sono stanco di film che raccontano storie… Ci dovrebbe essere una storia, ma anche una chimica, qualche dinamica emozionale.

Questo ci porta a Luxembourg, e il problema principale è trovare un contesto emozionale. In parole povere, funziona o no? La verità, una storia appassionante, la drammaturgia: queste cose non sono la chiave. Sono tutte importanti, ma non bastano. Basta sempre guardare una sola scena per poter dire se funziona. E se funziona, deve essere nel film.

Come si fa a dire se qualcosa funziona? È come la pornografia: chiunque la riconosce se la vede, ma nessuno sa spiegarla. Però funziona! Ottimo! E se funziona, funziona. Quindi ora stiamo facendo molte prove. Ho messo alcune cose su carta e molte altre le devo ancora pensare, ma è per questo che mi pagano, è questo il mio lavoro.

Ora siamo in viaggio, cerchiamo gli extra e giriamo versioni preliminari di scene che saranno nel film, ma che verranno girate di nuovo con gli attori di The Tribe. Le guardiamo, cerchiamo di capire se funzionano, se siamo sulla strada giusta. Abbiamo tempo, stiamo solo facendo delle prove.

MK: In sostanza, tu “appartieni” alla Zona. Raccontaci del tuo lavoro lì negli anni novanta, dei tuoi viaggi, della tua esperienza con il luogo. Che cosa è cambiato? Che cosa ti ha colpito allora, che cosa ti colpisce oggi? E, domanda particolarmente importante quando si parla di Luxembourg, che cosa hai notato allora sullo sfondo e che cosa noti sullo sfondo oggi?

MS: Gli anni novanta sono stati un’età dell’oro. Il livello di radioattività era, credo, molto più pericoloso di oggi. Il sistema era più crudele. La prima volta che ci sono andato sono rimasto completamente stupefatto. La Zona mi sembrava un fantastico, stupefacente oggetto d’arte, un immenso set teatrale.

Allora andavo dappertutto, non solo a Pripyat. Lavoravo per l’agenzia Chernobyl Inter Inform, che si occupava di turismo, ma anche di visite per delegazioni, studiosi e giornalisti. Il mio desiderio di fare un film sulla Zona di Chernobyl, e la dissonanza cognitiva che sperimento oggi lavorando a Luxembourg, sono collegati alla nozione che la mia ispirazione e il mio incanto nascono nella Zona degli anni novanta, che non esiste più.

Non voglio tergiversare: era il 1996-1997. Allora gli alberi non crescevano molto ed era una città più o meno conservata. Ora Pripyat sembra una città non solo saccheggiata, ma uscita dalla serie post-apocalittica Life after People.

D’estate non si vede niente. Vai a Pripyat e vedi Prospekt Lenina, che sembra una foresta. E in questa foresta riesci a malapena a vedere le forme degli edifici. Questo rende la città del tutto inadatta alle riprese, il che è in qualche modo deprimente, perché sarebbe un oggetto assolutamente fantastico.

Rassokha, ad esempio, dove c’era un enorme campo pieno di meravigliose attrezzature sovietiche, era un po’ fangosa, ma si vedeva. Era una sorta di museo del fantastico, un oggetto culturale, un luogo improbabile. Ora non c’è più, è stato “tagliato”. Lo scorso agosto siamo andati a questo cimitero delle macchine a Rassokha, ed era cosparso di rifiuti in metallo. Tutto fatto a pezzi.

Ora è troppo tardi. Forse avrebbe avuto senso preservare il sito come oggetto culturale? Le delegazioni ci vanno in visita, e dopotutto è il teatro di una rilevante catastrofe causata dall’uomo. C’è una vera macchina promozionale al riguardo, e c’è sempre gente che viene a visitare il luogo. Per quanto doloroso sia, di noi si conoscono solo Klitschko, la Dynamo di Kiev e Chernobyl. Adesso anche Maidan. Era un brand.

Di recente ho spiegato a delle persone a New York che Chernobyl non è in Russia, e si sono sinceramente meravigliate. In qualche modo, l’Ucraina è riuscita a privatizzare Chernobyl, anche se ha colpito anche Bielorussia e Russia.

Chernobyl e Pripyat sono città ucraine, e questa è la nostra “eredità”. Potrebbe essere un’eredità dubbia, ma naturalmente, come facciamo con tutte le nostre conquiste e i nostri monumenti, l’abbiamo sprecata alla grande. È una nostra caratteristica nazionale. Nessuno ha cercato di salvare Chernobyl.

Non penso che smantellare Rassokha fosse così importante. Non penso fosse cruciale a livello economico, anche perché c’era il sostegno di donatori e organizzazioni internazionali. Scherzando, la gente dice che la centrale di Chernobyl è a volte l’unica cosa che ci impedisce di essere totalmente dimenticati sulla scena internazionale. È una riserva moderna, come non ne esistono altre al mondo, o almeno così mi sembra. Avrebbe avuto senso, ma purtroppo non è stato così, e ora è troppo tardi. E penso che alla fine tutto svanirà. Ci sono varie teorie: in una parte della Zona si potrà entrare, ad esempio, ma Pripyat scomparirà.

MK: Stai pensando al rischio che Luxembourg non abbia lo stesso stupefacente successo di The Tribe. Senti la pressione, la paura?

MS: Certo. Ieri ho letto una delle innumerevoli classifiche americane per i film più attesi del 2016, e Luxembourg era all’ottavo posto. Mi conforta però il fatto che in qualche modo ho già fatto The Tribe. Esiste. Potrei fare altri quaranta brutti film, o nessuno, e sarei ancora il creatore di The Tribe, quindi non c’è niente da perdere. The Tribe ha fatto tutto ciò che poteva, e se non fosse stato per i cattivi, truffatori e furfanti della Commissione Oscar Ucraina, avrebbe potuto fare anche di più.

Nessuno è mai partito con l’intenzione di fare un brutto film. Forse con qualche eccezione, ma in generale tutti cercano di fare buoni film, li vogliono fare per questo. Poi, la differenza è se fai un buon lavoro o no. In tutti i miei film cerco di non andarci leggero con nessuno, di essere più onesto che posso, di creare il film più di qualità e corretto che posso. Da lì, il suo destino è nelle mani, beh, prima di tutto di Dio, perché ci sono buoni film che falliscono, e poi di pubblicitari, agenti e così via.

MK: Rivedremo Sergei Gavrilyuk in Luxembourg? Lo chiami il tuo talismano, è apparso in Deafness e Nuclear Waste.

MS: Al momento non ci sono accordi con alcun attore, il cast non è ancora definito. Adoro Sergei, ma non so ancora.

MK: I personaggi di Deafness sono silenziosi, come i personaggi principali di Nuclear Waste. In The Tribe non si dice una sola parola. Alla conferenza stampa di annuncio del nuovo film è stato confermato che in Luxembourg i personaggi parlano. Saranno dei chiacchieroni?

MS: Non proprio dei chiacchieroni, ma parleranno. C’è un grosso problema. Ho un amico che vive a Ostend nelle Fiandre, in Belgio. Dice che hanno qualcosa come 200 dialetti (non fatemi causa, non conosco il numero con esattezza). Dice che il fiammingo usato nei film belgi è molto artificiale, una specie di mix, e che in realtà è una lingua che nessuno parla. In un certo senso, è lo stesso anche per noi, in Ucraina.

MK: Quindi parleranno il tipico Dnipro surzhyk?

MS: Non è così fondamentale. La cosa importante per me è che non sia la lingua alta che si sente a teatro. Lavoriamo molto con persone madrelingua, questo è molto importante. E molto difficile.

Qualcuno (purtroppo non ricordo chi) ha scritto una bellissima recensione di The Tribe, che dice: “Bravo Slaboshpytsky, ha preso tutto quanto c’è di irritante nel cinema ucraino contemporaneo e l’ha buttato via”. E questo comprende la lingua artificiale. Artificiale perché, in primo luogo, gli attori hanno un modo di parare terribile. Inoltre, nel cinema americano ad esempio, c’è l’espressione “caratteristiche linguistiche del personaggio” e infinite battute sugli accenti, più un intero settore di consulenti su accenti e dialetti. Quindi, una persona che parla con accento newyorchese viene caratterizzata come un certo tipo di personalità; un accento del sud o del Texas produce un altro tipo di caratterizzazione. Ma se gli attori parlano come si parla sulla radio nazionale ucraina, questo non ci dice nulla di loro e questo rovina immediatamente qualsiasi investimento emozionale nel film. E questo non va bene.

Lo stesso vale per il russo. Non importa se è ucraino o russo. Capisci? È un grande problema.

Non importa se vengono dalla Galizia, dalla regione del Dniepr, da Sumy o da Kiev. La pronuncia non equivale alla conoscenza della lingua. C’è anche la questione di come sono costruiti i muscoli della tua bocca, o almeno come si muovono mentre parli. E si muovono diversamente da quelli degli attori nel teatro drammatico, e questo è un grosso problema.

MK: C’è l’idea che un buon cinema ucraino debba rappresentare un carattere distintivo ucraino e una sorta di autenticità sguaiata, un po’ strana e selvaggia. I critici hanno detto che un motivo dell’efficacia di The Tribe è che si tratta di un film sugli strati più bassi della società in un paese ai margini del mondo civilizzato. E ora hai scelto Chernobyl, che potrebbe essere considerata un’altra specificità ucraina…

MS: In realtà io sono un’eccezione, e questo è importante, ma sai come funziona il cinema? Ci sono delle “aree”: cinema americano, britannico, australiano, neo-zelandese. In teoria è la stessa area, territori di lingua inglese. C’è una bella battuta che dice che l’Impero Britannico è sopravvissuto, ha solo attraversato l’oceano.

Prima della guerra, anche noi eravamo una sola “area”. C’erano molti film in russo girati in Ucraina con attori russi, esattamente come le star americane sono invitate in Gran Bretagna e viceversa. È tutto molto semplice: c’è un mercato di 144 milioni di persone in Russia, 40 in Ucraina, altri milioni in Belorussia. È un pubblico piuttosto vasto.

Alexander Yefimovych Rodnyansky, che è più bravo di me con le parole, ha detto: “Fuori da questo territorio, al pubblico interessano i film dei grandi maestri”. Punto.

Siamo davvero l’underground europeo, il sotto-proletariato d’Europa. Questa è la verità secondo tutte le classifiche ONU e OMS: PIL pro capite, reddito, sicurezza sociale, aspettativa di vita…

MK: Quindi stiamo vendendo i nostri abissi?

MS: No, noi siamo gli abissi. Quello che vendiamo è l’arte.

Stiamo cercando di entrare nell’Unione europea. Rispetto ad altri paesi europei, siamo il “villaggio più povero del distretto”. Questo non toglie nulla al nostro eroismo, al nostro rinascimento nazionale. Nel giro di dieci anni magari avremo superato tutti, ma forse anche no.

Ma siamo ancora una manciata di servi della gleba, un paese senza passaporti stranieri. Di conseguenza siamo molto ucraino-centrici, mentre in realtà il mondo è molto vasto.

Per quanto riguarda The Tribe, ci sono molti film che lanciano uno sguardo critico alle questioni sociali, anche in Ucraina, ma non sono tutti accolti come The Tribe. Quindi non è quello il punto.

MK: Che programmi hai dopo Luxembourg?

MS: Ho un agente e un manager negli Stati Uniti, sono rappresentato dalla CAA (Creative Artists Agency). Ho chiesto un periodo di pausa mentre lavoravo a Luxembourg, quindi per ora non mi mandano sceneggiature. Ho parlato con il mio agente-manager per l’ultima volta in occasione del Natale ortodosso. Forse, se tutto va bene, farò un film in inglese.

MK: Tu sei un regista dal profilo unico. Sei stato a lungo nella Zona e la conosci dall’interno. Sei anche diverso da altri registi che ora stanno usando Chernobyl come fonte di materiale. Alla luce del trentesimo anniversario e della popolarità del tema, che consiglio daresti a chi volesse fare un film su Chernobyl?

MS: Non è corretto dare consigli. Io non ascolterei nessuno e non vorrei dare consigli. Ma nel mio caso, il mio essere in parte “insider” è un ostacolo. Bisogna trattare il materiale senza tanti complimenti, altrimenti si cerca di far stare in un film qualcosa che è fisicamente impossibile inserire.

Published 28 April 2016
Original in Ukrainian
Translated by Osservatorio Bacani e Caucaso
First published by Ukrainska Pravda, 21.01.2016 (Ukrainian version); Eurozine (English version); Osservatorio Bacani e Caucaso 26.4.2016 (Italian version)

Contributed by Osservatorio Bacani e Caucaso © Markian Kamysh, Myroslav Slaboshpytsky / Osservatorio Bacani e Caucaso / Eurozine

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